VEJACRICA IN VACANZA
12-20 Novembre 2010


 

 

 


KENYA,  L’ALTERNATIVA

            “Hurgada, Sharm, Marsa Aalam, uffa sempre Mar Rosso, cambiamo una volta” queste sono state le parole di mia moglie a proposito delle ferie 2010.   Tutti i torti non ce li ha, allora lascio a lei la scelta. 

            Passano i giorni, ma di ferie non se ne parla più, passa anche l’estate, niente.   Una sera di metà ottobre mentre sono a tavola Cati dice: “Che ne pensi del Kenya?, mi sembra che anche lì si possono fare immersioni, inoltre lì è primavera.”   Resto perplesso, la durata del volo, la lingua, io l’inglese non lo parlo per niente, non mi convincono;  le dico di documentarsi e il discorso finisce.

            Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 12 novembre  e mi ritrovo seduto su di un Airbus 330 della Eurofly in decollo, destinazione Monbasa.   Il viaggio è lungo, noioso non più di tanto e tra un cruciverba e un film visto e rivisto le mie perplessità restano tanto è vero che di attrezzatura subacquea ho portato solo muta, maschera e pinne per fare un po’ di snorkeling.   Si atterra dopo oltre otto ore e l’impatto con l’Africa equatoriale è meno stressante del previsto, meno caos dell’Egitto e mi viene in mente il consiglio dato da un amico: “Hacuna matata, Africa” ovvero: “non agitarti, prendi la vita con calma, qui sei in Africa, il mondo può fare a meno di te e nessuno se ne accorge”.

            Il trasferimento verso Watamu, la destinazione dove si trova il resort, si fa su di un autobus con aria condizionata.   Davanti agli occhi scorre la vera Africa, quella vista molte volte in documentari con la variante degli odori, a volte poco gradevoli e di una miseria tangibile, accettata dalla popolazione con rassegnazione come cosa inevitabile. 

Il resort si trova dietro un pesante cancello di ferro che viene aperto da una guardia armata, praticamente una prigione dorata.    Il giardino, curato, circonda sette villini ad un piano con sei o dieci monolocali ciascuno molto pulito ed in perfetto stile coloniale, comodi vialetti portano al ristorante ed alla spiaggia.   Non un resort all’egiziana con centinaia di camere, ma una struttura che può ospitare al massimo circa 150 turisti.   Sotto un enorme tetto di paglia, sostenuto da un intrigo di pali di legno in perfetto stile africano, il ristorante, a buffet, offre una buona varietà di invitanti piatti di una cucina italo africana abbinata sapientemente dal capo cuoco italiano, tanto da  costringermi a rimandare la dieta al rientro in Italia.   La spiaggia è particolare, l’oceano arriva fin quasi ai lettini con l’alta marea per poi ritirarsi di centinaia di metri con la bassa marea lasciando all’asciutto una distesa di sabbia quasi bianca intervallata da pozze di acqua caldissima.

Ma veniamo alla subacquea.   Sbrigate le formalità di rito alla reception mi informo subito se esiste e se è possibile contattare un diving in zona.   Mi assicurano che nel pomeriggio sarò accontentato, ma non sono proprio del tutto convinto e vado a pranzo.  A metà pomeriggio vengo avvicinato da un ragazzo di colore con una maglietta giallo sgargiante è Simeon l’inviato del diving Blue Fin.    Solite domande, solite risposte alla fine mi propone di provare, dopo deciderò il da farsi e fisso l’appuntamento per l’indomani alle 7,30.    Con una puntualità svizzera, alle 7,30 precise salgo sul fuori strada di Angelo, comproprietario con Lorenzo del diving, due italiani che da quasi vent’anni svolgono l’attività subbica in quel di Watamu, e percorrendo una autentica pista africana arrivo al diving.   Il diving è ben organizzato, puntualissimo nelle uscite e così una dopo l’altra le immersioni si susseguono: Canyon & dolphin, Drummer feef, Deep place, Cracas reef, South dolphin, Brain coral, Black coral e Canyon sono immersioni simili a quelle della zona di Taba nel Sinai, con meno visibilità, con un po’ più di corrente, ma con pesce di grossa taglia più avvicinabile; murene maculate, grossi carangidi, polpi fuori tana, pesci foglia, pesci palla, grossi nudibranchi dai colori vivaci, coralli molli e molte altre forme di vita, che non avevo mai visto, lì sono la normalità.    L’immersione meno bella? La prima, forse a causa della risacca oceanica con cui non avevo ancora dimestichezza mi ha fatto tribolare un pochino. La più bella? La Black coral, che oserei dire stupenda, una vera foresta di corallo nero con tutto ciò che un fotosub può desiderare e ancora di più.    Barche comode con non più di una decina di subacquei, un massimo di quattro sub per ogni guida e una sola barca ancorata per pedagno e questi ultimi a notevole distanza fra di loro sono la classica ciliegina sulla torta per il Blue Fin.

Il Kenya non è solo immersioni o villaggi turistici iper confortevoli, il Kenya è Africa, anzi due Afriche.   Una per il turista, fatta di safari, tramonti mozza fiato, animali esotici, città quali Malindi, Mombasa, Watamu, Gede, ecc.  piene di molto folclore, discoteche e casinò.   Un’altra, quella vera, è in gran parte adagiata su di una inerzia rassegnata, dove la natura da quello che basta per poter vivere senza dover far troppa fatica, i bambini sono tenuti in condizioni pietose per intenerire i turisti per poter elemosinare qualche euro e la sporcizia è ovunque.   Sulle spiagge, di fronte ai resort, gruppi di maleducati e fastidiosi “beach boys” considerano i turisti fessi polli da spellare e propongono loro programmi turistici e prodotti tipici di scarsa qualità.  Fortunatamente, lungo le polverose piste in terra battuta, in certe ore della giornata,  si vedono gruppi di ragazzini vestiti in modo eguale, vere e proprie divise dai colori vivaci diverse per ogni scuola, sono gli allievi che si recano o rientrano dalle lezioni scolastiche, speranze di un futuro migliore per un Kenya ancora troppo legato al passato..

Sono circa le 18 del 20 novembre, lo speaker annuncia: “Si informano i signori passeggeri che stiamo iniziando la discesa verso Milano Malpensa, temperatura al suolo 6 °C, pioggia intensa.”   Se penso che poche ore prima la temperatura esterna era di 35 °C e l’acqua dell’oceano di °C ne contava 29 dal profondo del cuore mi sale un sincero “ma vaffann ……..”.   

 Jambo jambo Kenya.

Gianni Marcone (Ratavuloira)